domenica 4 maggio 2014

Partnership al progetto: intervista a Mauro Antonelli, dirigente del'Area Parchi e Riserve Naturali della Regione Lazio.

> In qualità di dirigente dell'area Parchi e Riserve Naturali della Regione Lazio, crede all'utilità di una struttura sita a Roma Nord (più precisamente nella zona del Villaggio Olimpico, in prossimità del viadotto di Corso Francia)  che possa andare a formare giardinieri professionisti per il Comune di Roma, promuovendo al suo interno corsi  di formazione ed informazione, anche aperti al pubblico ?

Dal punto di vista regionale portare avanti un progetto simile sarebbe molto importante: la Regione Lazio possiede già un suo assessorato che si occupa della formazione di coloro che si curano dei Parchi Regionali e dell'ambiente, però tali corsi sono rivolti per la maggior parte alle grandi aziende e non direttamente ala popolazione. Se viene proposta nel modo corretto una struttura così innovativa potrebbe portare nuovo lavoro e la possibilità di interagire con le persone anche attraverso iniziative a scopo sociale. Inoltre il Villaggio Olimpico rappresenta una zona importante di Roma e un punto di scambi fondamentale per la città stessa, senza contare la vicinanza con il parco regionale dell'Aniene e con sua sede di Roma Natura, che proprio in questo momento sta' facendo il piano di assetto per le nuove zone verdi da riqualificare.

> Secondo lei la cura e la riqualificazione del verde pubblico relativo alle aree urbane della città di Roma è importante per uno sviluppo sostenibile della città e per il benessere del cittadino stesso?

Il verde in quest' ultimo periodo storico è diventato un verde "di risulta", un vuoto urbano abbandonato e lasciato al degrado, non più quindi una zona di valorizzazione della città. La cultura moderna di oggi non ci porta a capire che il verde è il living odierno, è un arredo urbano,fa parte del nostro habitat naturale (se così vogliamo definirlo) e in quanto tale è di estrema importanza la sua valorizzazione e conservazione nel tempo. 

Quello che mi dice è vero: ce lo confermano purtroppo molte aree della città di Roma che attualmente sono lasciate al degrado, totalmente abbandonate a sé stesse. Tuttavia (in occasione di un progetto urbanistico svolto nella zona del IV municipio di Roma) ho notato che molte persone ultimamente tendono a riappropriarsi del verde pubblico attraverso la realizzazione di orti urbani o per mezzo di iniziative che riscuotono particolare successo, come nel caso della Guerriglia Gardening

Da qualche tempo ad oggi in effetti si è rivelata di fondamentale importanza la questione relativa agli orti urbani : i cittadini in questo modo stanno conservando il territorio, così che questo non possano essere occupato da altri ma rimangaa ad uso esclusivamente pubblico. Si sta' lentamente ritornando alla cultura inglese dell'800, quando Fourier e i primi utopisti di un tempo realizzavano insieme agli architetti il concetto di "città giardino". I primi orti urbani a Roma ad esempio, sono stati realizzati nel quartiere di piazza Bologna nei primi anni 50, all'interno di una palazzina a corte.  Attualmente i più grossi orti urbani romani stanno nascendo lungo i fiumi e nella zona dell' Eur.
Gli orti urbani comunque hanno una loro prerogativa: quella di riportare l'uomo a riscoprire l'interesse per la natura : dal punto di vista sociale (ad esempio per gli anziani) ma anche per quel che riguarda il benessere della vita quotidiana.

> Poiché si occupa di preservare la flora e la fauna presenti nelle aree protette, crede che possa essere di beneficio al territorio Laziale portare avanti un progetto di reinserimento delle colture locali all'interno anche di territori fortemente urbanizzati?

Quando si parla di biodiversità bisogna fare particolare attenzione: oggi come oggi tutta la sbandierano ai quattro venti senza sapere che cosa voglia realmente dire. La Regione Lazio adesso sta' facendo un 'indagine su tutte le zone ZPS (Zone Protezione Speciale) e SIC (siti interessi comunitari ) riguardo il problema legato alla biodiversità e ci siamo accorti che spesso sono state perimetrate aree ritenute di estrema importanza comunitaria quando in realtà si tratta solamente di rocce e qualche pianta rinsecchita (come nel caso delle cave di Tivoli).
Il discorso sulla biodiversità deve essere affrontato sul territorio nel quale si va ad operare nella sua totalità e non, come accade spesso, solo su una parte di esso: l'intento deve essere quello di andare a ricreare l'habitat sia del Fiume Tevere che quello della flora e della fauna tipiche del Territorio Laziale.

Ritornando al progetto della scuola, secondo lei cosa è necessario sapere per un professionista che si occupa dell'ambiente del territorio Laziale e più in particolare di quello limitrofo alla zona del Tevere?

La conoscenza del territorio in cui si opera è fondamentale: un giardiniere professionista deve sapere sempre, nell'osservare una pianta, se si tratta di una infestante oppure di una tipica della zona in cui si trova. La robinia ad esempio viene spesso scambiata per erbaccia quando invece è una pianta tipica del centro Italia: l'equilibrio dell'habitat non deve essere turbato. Inoltre devono avere conoscenze base di botanica e di chimica, per il riconoscimento della composizione delle diverse terre e per i vari prodotti legati al benessere della pianta (pesticidi, ecc.)

Quindi tra le attività che andremo ad inserire nella struttura ci saranno anche dei laboratori dedicati alla sperimentazione di prodotti chimici e aule dove gli aspiranti professionisti potranno apprendere le nozioni basi riguardo il territorio in cui andranno ad operare. Per quanto riguarda la pratica è importante trovare delle aree all'aperto, è corretto?

Per un aspirante giardiniere è fondamentale la pratica e l'esperienza, che non si accumula solamente sul campo ma maggiormente all'interno di laboratori didattici:  tali laboratori e la serra ( dove è concentrata la maggior parte dell'operatività della struttura e che deve essere centrale) rappresentano l'elemento di passaggio tra la teoria e la pratica del lavoro professionale, e servono come nodo di scambio non che fulcro generatore di tutta l'attività all'interno della scuola. A mio avviso le aule dove dovranno essere svolte le attività didattiche non dovrebbero essere molto grandi e l'utenza non dovrebbe superare il numero di 20 persone per aula, perché per esperienza diretta questo è il numero massimo di persone che si presta all'ascolto.

> Poiché mi conferma che lei in prima persona ha tenuto dei corsi relativi all'ambiente e al giardinaggio, saprebbe consigliarmi quale tipi di corsi e in che modalità dovrebbero essere svolti?

Ciclo di massimo 6 mesi e laboratori di ingegneria naturalistica (cunette, dossi, versanti delle montagne fatte non più con reti e cemento ma realizzate solo con materiali naturali).
Ah, e poi ci dovremmo mettere una teca per le farfalle, una "Butterfly House".

Una Butterfly House?
Si. Mi ha sempre stuzzicato l'idea di realizzare una teca per le farfalle dove le persone potessero entrare e vederle dal vivo. In più le farfalle sono animali meravigliosi . Non trovi?

Ehm... Si, certamente.


Ottimo, allora è fatta!  (ride).


Sito di riferimento:
http://www.regione.lazio.it/rl_ambiente/?vw=contenutidettaglio&id=77

domenica 6 aprile 2014

Analisi di un'Architettura: Toyo Ito e l suo GRIN GRIN Park


UNA SOTTILE LINEA ROSSA.

" Il grande cambiamento è avvenuto negli ultimi dieci anni. Prima si ragionava partendo dalla pianta [...] il processo era più lungo e meno fluido, in un certo senso più rigido. Osservando i programmi e i cartoon giapponesi per bambini, nei quali la modellazione 3D era molto avanzata, mi sono reso conto che lo stesso processo con cui venivano pensati e creati gli ambienti dei videogiochi poteva essere applicato alla progettazione architettonica:  era possibile immaginare lo spazio direttamente in modo tridimensionale e contemporaneamente studiarlo da varie angolazioni, visualizzandone anche i mutamenti possibili."                                                                                                                                                                                    

                                                                                                                                          Toyo Ito, Intervista a The Plan 016, 2006

L'inizio del nuovo millennio viene accolto in tutta Europa con grande entusiasmo e porta con sè la speranza di un nuovo inizio nell'era della tecnologia. Le televisioni, la radio e i giornali parlano di progresso in campo tecnologico a livello mondiale (l'Italia si piazza al 14° posto fra i trenta più importanti esportatori di prodotti ad alta tecnologia) e nei cinema si inizia già ad immaginare un mondo dove i robot e le intelligenze artificiali siano in grado di aiutare l'uomo  nella vita quotidiana  e di comunicare con lui attraverso parole e vere e proprie emozioni (Matrix dei fratelli Wachowski nel 1999 oppure A.I di Spielberg girato nel 2001). Così negli ultimi anni l’impatto del digitale in architettura è cresciuto esponenzialmente, manifestandosi nei ‘BLOB’ informi di Greg Lynn, come anche nelle cosiddette ‘free-form’ dei NOX. L’aggettivo ‘free’ identifica la libertà di generare forme architettoniche a prescindere da ogni principio compositivo, statico o costruttivo, e si estremizza, ad esempio, nella ‘trans-architettura’ puramente virtuale di Marcos Novak. L'alta tecnologia insidia il lavoro concettuale del progettista come la realizzazione delle sue opere. Attraverso la fabbricazione a controllo numerico, il ‘file-to-factory’, il gruppo Objectile sfida la produzione seriale dell'industrial design. Un unico modello digitale parametrico si concretizza in molteplici variazioni spaziali uniche, sempre nuove. Purtroppo però, ben presto la popolazione è stata costretta a fare i conti con la realtà e l'entusiasmo iniziale si è trasformato in amarezza: l'attacco dell'undici settembre da parte di Al Quaida alle torri gemelle apre una profonda ferita a livello globale che ancora deve essere rimarginata. Successivamente l'Europa entra in una profonda crisi economica e ancora molti paesi non riescono a tirarsene fuori. 

 
                                                                                          Tokyo 2014 

Il Giappone vive con relativo distacco ed indifferenza la crisi che l'Europa e l'America stanno attraversando, sebbene sia molto vicino ai paesi occidentali poiché rappresenta una delle potenze economiche mondiali di maggior rilevanza.  Le vicende dell'architettura moderna in giappone nascono all'inizio degli anni 60, quando Kurokawa con i suoi colleghi Kiyonori Kikutake, Fumihiko Maki e Masato Otaka fonda una nuova corrente chiamata in Italia con il nome di Metabolismo: il concetto stesso di metabolismo aveva alle sue origini una critica serrata dell'architettura così detta "Internazionale", di matrice fondamentalmente occidentale, per arrivare invece ad un'architettura Interculturale il cui fondamento sarebbe dovuto essere lo scambio fra l'universale ed il regionale, fra Oriente ed Occidente e promuovere il passaggio, sempre auspicato dallo stesso Kurokawa, dall'Età della Macchina (come Les Corbusier la definisce) all'Età della Vita. L'influsso delle architetture giapponesi in tutto il mondo è stato tanto forte quanto velato: sicuramente il mondo nipponico ha imposto nuove regole e definito nuove estetiche. Si pensa alle caratteristiche dell'architettura giapponese e si immaginano gli shogi e l'engawa, gli elementi tradizionali e quel senso di mistero, di eleganza e di storia che ha definito una cultura progettuale unica; ma se si passeggia per le strade illuminate dai pixel digitale delle grandi metropoli nipponiche ci si domanda quanto questo sia ancora vero e quanto questo sia in realtà lontano dalle forme tradizionali. Se si presta attezione tuttavia si scopre che gli antichi contenuti della tradizione continuano ad esistere in forme sempre diverse e in continua metamorfosi con la città. Alla natura bucolica si sostituisce la vita della società contemporanea, modernizzata, informatizzata, disgregata, consumistica. Pertanto la nuova architettura si relaziona con questo nuovo ambiente , lo interpreta e lo assorbe come si faceva prima con la natura: la fisicità del costruito nella sua manifestazione diventa lo specchio della società che lo circonda.  .   La mente o la coscienza sono spesso paragonate allo specchio: il loro essere carichi di  Mu, di vuoto, non significa che lo specchio sia inesesitente, ma che deve essere completamnete pulito come la coscienza. Così l'architettura giapponese è riflettente: Taut in Katsura vide i principi del modernismo; Tange la tensione del apporto fra innovazione e tradizione; Isozaki lo spazio dell'ambivalenza. Si guardavano in uno specchio e vedevano loro stessi. L'architettura giapponese, dal passato fino ai nostri giorni, segue un percorso di continuità, una sottile linea rossa, un cammino temporale che congiunge il passato col presente. La linea rossa è un elemento caratteristico della cultura mitologica giapponese, attraverso la quale vengo legati idealmente due mondi diversi, due universi infinitamente lontani: questa linea rossa è il linguaggio della tradizione, così ricco di contenuto e così capace di definirsi in modo chiaro nel corso dei secoli. In Giappone il costruito parla: maestro nel raggiungimento di importanti equilibri, in particolare con la natura, il linguaggio della tradizione permette il dialogo continuo tra il progettato e l'esistente. Lo Shizen ovvero la coesistenza e l'armonia con la natura, è un concetto fondamentale della cultura Giappone, tanto che può essere considerato il cardine e l'essenza profonda di tutte le manifestazioni architettoniche. E in tal senso l'architetto Toyo Ito non fa alcuna eccezione.


TOYO ITO E IL SUO TEMPO.



"Sono sempre stato interessato allo spazio più che alla forma (lo spazio può essere meglio descritto con il concetto giapponese di vacuità - yohaku) Con parole mie inizio a vagare nel vuoto - Mu - e gli elemnti dell'architettura si ritrvano a fluttuare. E' come lo scorrere dell'acqua, il correre infinito, girare vorticosamente qua  e là."
                                                                                                                          Toyo Ito, intervista di Marco Filippucci, Roma 2005

.  Come uomo del suo tempo si ritrova proprio al centro di queste filosofie e sentimenti architettonici. Capace di percepire il presente come un periodo di forti mutamenti, una evoluzione che fatica a mostrarsi, vive le correnti che ad oggi in tutto il mondo influenzano il fare architettura. Teso verso il progresso e l'innovazione tecnologica non dimentica di dare più di uno sguardo alla natura e all'umanità. Utilizzando quella che è la sensibilità tipica del suo paese, mette entrambi al centro dei suoi progetti in una fusione tra costruito e natura che assieme riescono a esaltare l'uomo.
Maggiore interesse per lo spazio rispetto alla forma è uno dei punti salienti della filosofia progettuale di questo personaggio che ci riporta ad una sobrietà elegante dalle linee particolari e articolate. Nel momento creativo Toyo Ito si ritrova immerso in un fluttuare di elementi architettonici che prendono vita dalle parole create dalla sua mente, come lo scorrere dell’acqua, vorticoso e infinito. La ricerca di integrazione e rispetto dell’architettura verso la natura pone le basi, per poi sfociare in una ricerca di soluzione legata alla modernità. La corretta progettazione secondo questo genio dell’architettura consiste nel trovare risposte ai problemi della città moderna senza dare peso alla forma ma ponderando materiali e rapporti tra le parti. Paradossi della forma e disegno sempre più libero prendono strada con lo scorrere del tempo. Conflitto tra necessità di gravità e libertà della forma sono sempre più presenti nelle sue architetture che restano sospese nell'aria, galleggiando in vuoti virtuali, sostenute dalla leggerezza spaziale della immaterialità degli involucri. Il vuoto diviene quello della modellazione tridimensionale dove ogni cosa è priva di peso e la gravità non ha potere. Così L'architettura di Toyo Ito sembra voler fuggire da tutto ciò che rievoca peso, forma e gravità, come gli spessori che si riducono sempre più tendendo a sparire, apparendo come linee tese tra due punti. Una metamorfosi strutturale che attraversa lo spazio rendendolo unico nella sua forma e in ciò che rievoca. La sua ricerca si contraddistingue per la tensione formale e spaziale che si manifesta nelle sue opere architettoniche. Esse riflettono, in maniera quasi speculare, l’ansia del loro autore nel cercare di comprendere il senso del mondo, il significato profondo della realtà e nel rappresentare questo stato d’animo nei suoi lavori. La complessità dell’architettura di Ito è un aspetto che appartiene, a un tempo, all’uomo Ito e alla società in cui egli vive. Gli effetti di questa sua visione in ambito progettuale è lo stato di fluidità a cui cerca di ricondurre la materia ed il rapporto tra materialità e immaterialità, come condizione del progresso tecnologico e della nuova realtà internazionalizzata. 
Come scrive Antonello Marotta nel suo libro: «Non è possibile comprendere l’opera di Toyo Ito, la sua formazione, il clima che respira, senza calarsi nel contesto culturale in cui il Giappone affonda le sue radici e parallelamente rilevare una doppia linea di demarcazione, interna ed esterna alla propria cultura» . La chiave per potersi avvicinare al pensiero progettuale di Ito per comprenderne il senso è quella di analizzare il suo percorso formativo. I suoi lavori attraversano varie discipline e, dunque, raccolgono al loro interno una molteplicità di riferimenti che vanno a sommarsi alla volontà di forzare le convenzioni per creare strutture complesse. Nel crematorio di Kakamigahara, per esempio, nessun modello fisico col quale ricavare l’inverso della membrana tesa avrebbe potuto tradurre in struttura l’idea dell’architetto. Attraverso l’ottimizzazione, invece, la copertura fluttuante in calcestruzzo armato, figurativamente ispirata a una nuvola, è stata modellata in una prima fase come se fosse pura scultura, e in seguito affinata strutturalmente attraverso un’analisi di sensibilità. 

IL GRIN GRIN PARK , FUKUOKA.

È la strategia utilizzata anche per il Grin Grin Park di Fukuoka dove il progettista ha potuto considerare configurazioni spaziali free-form, strutturalmente sub-ottimali, solo grazie all’uso dell’analisi di sensitività. Da semplici strumenti risolutivi, questa e altre tecniche di ottimizzazione numerica diventano, in architettura, efficaci strumenti esplorativi a supporto delle fasi concettuali del progetto. Per questa ragione, sono anche spesso identificate nella letteratura scientifica come strategie di ‘morfogenesi computazionale’. Toyo Ito è un architetto capace di fondere assieme passato e presente, tradizione con innovazione, occidente con oriente. In un continua ricerca della perfezione, come un sacerdote, scruta continuamente gli infiniti misteri della dea "Architettura" portandola a livelli sempre nuovi di somma arte.


L'intera struttura sembra essere un grosso organismo vegetale formato da tre cellule, che si è adagiato sul terreno e con il tempo si è adattato ad esso. Il tema della natura, come già detto, rappresenta il vero e proprio Bang dell'Architetto: una fusione perfetta tra costruito e natura, data dalla piega e dove l'architettura si modella e inserisce nel territorio, annullando la differenza fra interno ed esterno, tra chiuso ed aperto, esattamente tra costruito e natura.




LA SCACCHIERA











Il plastico realizzato per l'esperimento della scacchiera è stato pensato come un unico elemento composto da diversi fili di ferro (quelli comunemente utilizzati per il giardinaggio), in modo tale che potesse essere modellato con estrema facilità e libertà. Prendendo come riferimento le curve di Bèzier e l'architettura parametrica, ho voluto rappresentare le curve della modellazione Nurbs (Non -Uniform- Relational- B Spline) per mezzo di questa tessitura di fili verdi di ferro che possono, appunto, cambiare ed essere modellati nello spazio. La parte del terreno è stata realizzata con materiali morbidi e verdi per ricordare in qualche modo la vegetazione circostante: i materiali possono essere modellati a loro volta e andarsi a sovrapporre all'architettura, fondendo insieme natura e costruito, esattamente come insegna il Maestro Architetto Toyo Ito.
                                                                                                                           
MATERIALI UTILIZZATI PER IL PLASTICO:
Fili di Ferro Verdi utilizzati per il giardinaggio
> Filo di ferro grigio spessore 3 mm                
> Nastro adesivo nero                                    
> Gomitolo di lana verde                                
> Asticelle per tendine (x2)                            
> Sciarpa verde                                            
>Nastro da pacchi bianco                             

























domenica 16 marzo 2014

DRIVE FORCE

TAVOLA 1:  Analisi conoscitiva dell'area di studio.
L'elaborato è stato realizzato a mano e rappresenta la base sulla quale sono state avanzate le due proposte progettuali (presenti qui sotto), al fine di collocare all'interno del'area di studio una struttura che fosse radicata al territorio e rappresentasse per tutti i cittadini del Villaggio Olimpico (ma anche di Roma) un'opportunità e una risorsa.
Le considerazioni fatte sono basate (oltre che sull'osservazione diretta dell'area durante i sopralluoghi ) su interviste fatte alla cittadinanza, ricerche internet e commenti su blog o pagine facebook dedicate al Villaggio Olimpico.



TAVOLA 2: Drive Force: "Giardiniere di quartiere", Scuola 
di giardinaggio urbano.


   



      TAVOLA 2: Drive Force: "Ricicliamo la città", Centro per la           riparazione e il riuso.

      P.s.: Domani posterò il tutorial per trasformare ... o meglio  
      RICICLARE questa tavola in una scatolina con tanto di bigliettino !